Romanzo profondo sulla violenza e la memoria collettiva, per dare voce a un evento storico censurato e dimenticato, semisconosciuto al mondo occidentale: il massacro di stato di Gwangju in Corea del Sud del 18 maggio 1980.
Sette giorni di lettura per sette capitoli interconnessi, sette storie durante e dopo l’evento, sette prospettive diverse di chi c’era: c’è la storia del ragazzo che vede morire l’amico durante le manifestazioni, c’è l’anima dell’amico in attesa di staccarsi dal suo corpo che racconta la disumanità con la quale vengono trattati i cadaveri, c’è la madre del ragazzo che dopo trent’anni non ha ancora trovato la pace, c’è la redattrice che si era presa cura dei corpi insieme al ragazzo e che cinque anni dopo rivive tutto attraverso un racconto censurato, c’è l’operaia e il prigioniero che decenni dopo ancora non riescono a dimenticare le torture e cercano di capire come sopravvivere con quei ricordi.
E infine c’è la scrittrice, vissuta a Gwangju fino al 1979, scampata agli eventi per pura fortuna, che si documenta per raccontare questa storia, per tentare di ridare dignità alle tante vittime.
Capisco la grandezza di questo libro, necessario e importante per far conoscere e non dimenticare, ma per me è stata una lettura troppo difficile e dolora per l’intensità emotiva, per la violenza, per i dettagli troppo crudi. Un libro pesante e a volte di difficile comprensione. Ecco perché solo tre stelle, pur ammettendo che non può reggere il paragone con altri libri a cui ho dato lo stesso punteggio.
3/5
GDL Desperate Readers